La venditrice di palloncini

La venditrice di palloncini ha ottime ragioni per essere depressa. E’ una giornata di pioggia, di quelle che costringono i genitori a tenere chiusi i bambini in casa e l’unico possibile cliente potrei essere io, fotografo malmesso, che mi ostino a girare intorno alla giostra con lo smartphone in mano, refrattario al concetto di ombrello e di buonsenso: e si capisce a prima vista che il legame tra freddo, umido e malanni di stagione mi è ostico. Siccome con la pioggia lo schermo si bagna, la raffica di bestemmie che tiro è tale che Dio potrebbe benissimo decidere di sprofondare Piazza della Repubblica e trascinare tutti all’inferno, che un peccatore solo non è sufficiente a pareggiare il conto. Tanto i bambini, innocenti per definizione, sono in salvo: i genitori lungovedenti li hanno rinchiusi in casa, al riparo dalle intemperie e dalle bestemmie. Il problema è che per quanto lo smartphone possa essere tropicalizzato, cioè resistente alle intemperie, quando piove lo schermo rifiuta di riconoscermi. Pretende di riattivarsi solo se confermo l’identità con l’impronta digitale, ma se il dito è bagnato solleva dubbi, mi questiona, dice che non sono io e mi invita a riprovare. Intelligenza artificiale del cazzo (scusate la malaparola ma tanto i bambini sono chiusi in casa al riparo dalla pioggia, dalle bestemmie e dalle maleparole) che ti ho pagato parecchio e almeno non questionare sulla mia identità che a quello già ci penso da solo, e da una vita intera.

Tutto in questa immagine concorre ad immalinconire: quel che si vede e quello che non si vede. Il fotografo malmesso, la giostra che non gira, l’assenza di bambini (che genitori previdenti hanno chiuso in casa al riparo dalla pioggia, dalle bestemmie, dalle maleparole e dagli stati d’animo infausti) e soprattutto lo sguardo perduto della venditrice di palloncini.

E’ uno sguardo rassegnato il suo, lo sguardo di chi è consapevole della farsa a cui è partecipe. Con la mano sinistra regge dei palloncini, peso insolito, innaturale, che tira verso l’alto piuttosto che verso il basso. E’ un peso senza speranza, di cui non puoi liberarti facilmente, perché se lasci andare non puoi chinarti a raccogliere ma devi alzarti ad acchiappare, e questi verbi richiedono agilità, destrezza e velocità nell'esecuzione. Sul fotografo malmesso non può fare conto per un aiuto che adesso é impegnato ad asciugarsi il dito sulla giacca fradicia, aggiungendo, se possibile, bagnato al bagnato: é una spirale insensata quella che l'ha preso, un vortice di follia che coinvolge le due intelligenze, quella artificiale è quella biologica e che probabilmente non avrà mai fine, come il trottolare appagante ma mai appagato della giostra.

Non può nemmeno arrendersi la venditrice di palloncini, non può alzare le mani altrimenti il poco che ha è perso, e in breve diventerà irraggiungibile; nell’andar via si rimpicciolirà senza fretta che tanto lo sa che non puoi raggiungerlo: il cielo è precluso e, quando è concesso, ci sono talmente tante limitazioni che neppure si chiama ancora cielo, magari aeroplano o aerostato, ma cielo non più.

La venditrice di palloncini quindi ha ottime ragioni per essere depressa. La giostra è un oggetto che produce malinconia e non potrebbe fare altrimenti: i suoi ospiti, bambini, cavalli e carrozze, anno dopo anno macinano chilometri senza andare da nessuna parte. Il loro è un trottolare insensato e chi ha voglia di vedere metafore della vita qui non ha che l’imbarazzo della scelta.

Il problema, della venditrice e del fotografo malmesso, è che siamo regole della natura. Attenzione: non sottoposti a regole della natura, sarebbe bello, sarebbe semplice, ma siamo proprio “regole della natura”, come le foglie d'un albero: credono di essere foglie ma sono albero, capiscono di essere albero ma sono foglie. E fanno bene i genitori a tenere i figli chiusi in casa, al riparo dalla pioggia, dalle bestemmie, dalle maleparole, dagli stati d'animo infausti e da tutte queste insensatezze.

 

IMG 20190526 120247 01

Pin It